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la moda può essere un attore universale nella protezione del pianeta. frase di Simone Cipriani, fondatore di ethical fashion iniziative

Moda sostenibile e la definizione di una nuova realtà

Eco-fashion o moda sostenibile: tutti ne parlano, alcuni marchi hanno già cambiato le loro strategie, ma in molti ancora non hanno le idee chiare.

L’accesso agli abiti è iniziato principalmente nella seconda metà del secolo scorso e con il boom economico degli anni ‘60, l’offerta si è resa così accessibile da creare l’abitudine all’abito Kleenex: ossia l’abito usa e getta.

Così dalle 4 collezioni annue (due femminili e due maschili per la primavera/estate e autunno/inverno) che venivano presentate all’inizio stagione con le sfilate e tenute fino alla fine dei saldi, siamo arrivati ad avere ben 52 collezioni e vedere cosi prendere piede quello che viene chiamato Fast Fashion.

Questo ha portato a far diventare il settore della moda il secondo più inquinante in tutto il mondo, sin dalla fase di produzione fino allo smaltimento. Motivo per cui dal 1987 si sta cercando di cambiare sistema a favore dello sviluppo sostenibile (ma non solo in ambito della moda!)

 

MODA SOSTENIBILE: SIGNIFICATO 

La moda sostenibile è quel processo di promozione del cambiamento dell’intero sistema moda, verso una maggiore integrità ecologica e di giustizia sociale.

Questa è la definizione che trovate su wikipedia. Che vuol dire tutto e vuol dire niente, ma cerchiamo di capire meglio e scendere di più nel dettaglio.

 

La moda sostenibile nasce principalmente come branca della più grande protesta contro l’inquinamento del pianeta, e quando si parla di moda sostenibile si fa riferimento a due macro aree di base:

  1. le condizioni di lavoro e il benessere dei lavoratori
  2. il rispetto per l’ambiente in tutte le fasi, dalla produzione allo smaltimento

 

Tutto ebbe inizio nel 1992, in concomitanza con la conferenza delle Nazioni Unite dove per la prima volta i “Temi Verdi” (così venivano chiamati) entrarono nelle pubblicazioni di moda e tessili.

Patagonia ed ESPRIT furono i primi due brand che portarono alla luce degli studi realizzati sulla loro filiera produttiva, riscontrando delle preoccupazioni non indifferenti. Questo fu l’inizio di un’agenda di ricerca sulla produzione sostenibile, che nel corso degli anni ‘90 e 2000 si costruì una sua storia, una sua politica ed un’evoluzione di linguaggio.

 

gomitoli di cotone biologico di colore bianco

fonte: Unsplash

 

IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

Al primo posto troviamo sicuramente le condizioni di lavoro dei dipendenti.

A partire dagli anni ‘90 sono stati portati alla luce tanti episodi di sfruttamento dei lavoratori, soprattutto quello minorile. Questo perchè già prima dell’inizio dell’inquinamento, molte industrie avevano delocalizzato la loro produzione in paesi dove poter approfittare di imposte basse e dove la legge non aveva grossi problemi nemmeno con il lavoro minorile.

In questi paesi, le condizioni di lavoro non vengono rispettate; e capita che nemmeno la casa madre riesce ad avere una chiara e trasparente tracciabilità della catena di approviggionamento. Le persone sono costrette a lavorare e vivere nella stessa stanza, ad un salario talmente minimo da non riuscire a comprare nemmeno il pane. La parte dove bisogna porre l’attenzione è che i loro prodotti vengono acquistati ad un costo misero, e rivenduti ad uno più alto nei negozi di tutto il mondo.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la strage del 24 aprile 2013 del Rana Plaza, una fabbrica del Bangladesh, dove persero la vita 1136 persone, costrette a cucire vestiti per 12 ore al giorno e con uno stipendio inferiore ai 30€ al mese.

Perciò il primo caposaldo della moda sostenibile è quello di tutelare la manodopera rispettando un contratto, l’orario di lavoro e il giusto compenso. Ma anche e soprattutto le condizioni e l’ambiente di lavoro. E a distanza di dieci anni, posso dire che purtroppo per questo punto abbiamo ancora molta strada da fare, dati i recenti fatti accaduti questo novembre proprio in Bangladesh.

 

Cosa vuole la moda sostenibile? Mettere fine a queste stragi e ottenere delle buone condizioni di lavoro per i dipendenti; un ambiente sano e un salario al pari del loro lavoro.
In poche parole, quella dignità che si acquista con il lavoro.

 

Lo stesso vale per gli animali con i loro diritti. La produzione sostenibile deve essere Animal Free, cioè deve utilizzare dei materiali riciclati, delle fibre rinnovabili, naturali o realizzate dall’uomo a basso impatto ambientale, che non derivi da nessun tipo di sfruttamento animale.

 

le mani di una ragazz che tengono della terra con una piccola pianta appena nata

fonte: Unsplash

 

MODA SOSTENIBILE E IL RISPETTO PER L’AMBIENTE

La seconda macroarea è quella dedicata all’ambiente.

Come già detto, l’industria della moda è la seconda più inquinante del mondo. Questo perchè il comparto produttivo segue ancora un modello di economia lineare. In breve: produco materia prima per realizzare un prodotto che viene venduto, usato e poi buttato; e qui vediamo gli effetti sull’ambiente.

 

L’impatto ambientale di un capo di abbigliamento si concentra per il 60% nella produzione della materia prima. L’industria della moda produce dall’8% al 10% di gas serra.
La tintura dei tessuti è la seconda causa dell’inquinamento delle acque. Per non parlare dell’inquinamento chimico e da plastiche, micro e nano plastiche.
Sovrapproduzione di rifiuti tessili.

 

Come risolvere questi problemi?

Il riciclo è uno dei punti chiave, andando così a ricollegarsi al fattore della sovrapproduzione dei rifiuti tessili. In questo modo si cerca di riutilizzare il più possibile e buttare via solo lo stretto necessario. Ed evitare così che la merce invenduta venga incenerita o lasciata al macero.

Passare da un sistema di produzione lineare ad uno di tipo circolare: progettare prodotti che una volta finito il loro uso primario, possono essere messi di nuovo nel ciclo di produzione anche per diversi usi da quello di partenza.

Altro punto è quello di incentivare l’uso di tinture naturali, lo studio e la ricerca di nuovi materiali sempre più sostenibili per l’ambiente e riducendo il rilascio delle micro o nano plastiche.

Questi sono solo alcuni esempi delle possibile mosse o atti effettuati dalle imprese della moda per cambiare rotta.

 

IL CONSUMATORE

La cosa su cui si deve puntare maggiornamente è la campagna di informazione che spinga a modificare le scelte dei consumatori. Soprattutto per la generazione ancorata al concetto del compra-indossa-butta.

Le industrie possono riconvertirsi come vogliono, possono investire su nuove ricerche e nuovi mezzi di produzione: ma se alla base non vi è un consumo responsabile e consapevole, tutti questi sacrifici saranno vani.

 

Ed è quello che sto facendo per FabricUp. La mia è una piccola realtà dove tutto è incentrato su un sistema di produzione circolare, ricerca di nuovi tessuti sostenibili o pezze già esistenti. Insomma puntare su una filiera di produzione il più trasparente possibile.

Ma soprattutto cercare di sensibilizzare la mia community a favore di una moda che duri nel tempo. Sono una piccola realtà, ma anche io (come tutti) sono il motore che porta al cambiamento.

 

Abbiamo solo un pianeta, e come lui si è preso cura di noi – noi dobbiamo ricambiare il favore e preservarlo.

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