Moda sostenibile, un sogno o nuova realtà?
Eco-fashion o moda sostenibile: tutti ne parlano, alcuni marchi ne fanno parte, ma in molti ancora non hanno le idee chiare.
Aprile è il mese dedicato alle iniziative che fanno parte del movimento Fashion Revolution, il più grande movimento riconosciuto a livello mondiale, rivolto alla sensibilizzazione della moda sostenibile.
Dato il momento attuale che il mondo sta vivendo, molti degli eventi organizzati per quest’occasione, sono stati trasformati in eventi digitali. Motivo per cui, per le prossime settimane, parleremo di moda sostenibile, partendo dalla sua definizione fino ad arrivare allo shopping!

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In questi ultimi mesi abbiamo assistito ad eventi che hanno visto la nostra Terra essere l’unica vittima. Molte sono state le attività di sensibilizzazione in merito ma sembra che ancora non sia arrivato quel momento di svolta da parte di tutti noi.
Ma perchè parlare di sostenibilità in campo della moda?
Come consumatori ci hanno spinto a rinnovare il nostro guardaroba ad ogni cambio di stagione, incrementando sempre di più la produzione e alimentando così quella che viene chiamata Fast Fashion.
Questo ha portato negli anni a far diventare il settore della moda, il secondo più inquinante in tutto il mondo, sia in fase di produzione che di smaltimento. Ecco perché dagli anni ‘90 si sta cercando di cambiare l’intero sistema e realizzare il sogno della moda sostenibile.
Ma andiamo per gradi.
MODA SOSTENIBILE: COSA SIGNIFICA?
La moda sostenibile è quel processo di promozione del cambiamento dell’intero sistema moda, verso una maggiore integrità ecologica e di giustizia sociale.
Quando si parla di moda sostenibile, si fa riferimento a due macro aree di base:
- le condizioni di lavoro e il benessere dei lavoratori
- il rispetto per l’ambiente in tutte le fasi di produzione.
Tutto ebbe inizio con gli anni ‘90, più precisamente nel 1992, in concomitanza con la conferenza delle Nazioni Unite dove per la prima volta i “Temi Verdi” (così venivano chiamati) entrarono nelle pubblicazioni di moda e tessili.
Patagonia ed ESPRIT furono i primi due brand che portarono alla luce degli studi realizzati sulla loro filiera produttiva, riscontrando delle preoccupazioni non indifferenti. Questo fu l’inizio di un’agenda di ricerca sulla moda sostenibile, che nel corso degli anni ‘90 e 2000 si costruì una sua storia, politica, evoluzione di linguaggio.
Molti marchi cominciarono ad adeguarsi alle nuove linee dettate da questi provvedimenti, cercando con il tempo di ridurre l’impatto ambientale e di migliorare le condizioni di lavoro. Altri invece, sono nati da queste nuove linee, diventando così i primi sostenitori dell’ambiente.

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MODA SOSTENIBILE: IL BENESSERE DEI LAVORATORI
Al primo posto troviamo sicuramente le condizioni di lavoro dei dipendenti.
Dagli anni ‘90 sono stati portati alla luce, tanti episodi di sfruttamento dei lavoratori, soprattutto del lavoro minorile.
Primo caposaldo della moda sostenibile è quello di tutelare la manodopera rispettando un contratto, l’orario di lavoro e il giusto compenso. Ma anche e soprattutto le condizioni e l’ambiente di lavoro.
Perché si pone molta attenzione su questo aspetto? Tutti siete a conoscenza che molte industrie, soprattutto quelle che fanno parte del fast fashion, hanno le loro sedi di produzione in paesi molto poveri. Basta leggere le vostre etichette dei vestiti per sapere dove quella maglietta o pantalone è stato realizzato.
In questi paesi, le condizioni di lavoro non vengono rispettate. Le persone sono costrette a lavorare e vivere nella stessa stanza, ad un salario talmente minimo da non riuscire a comprare nemmeno il pane. I loro prodotti vengono acquistati ad un costo misero, ma rivenduti ad uno più alto nei negozi di tutto il mondo.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la strage del 24 aprile 2013 del Rana Plaza, una fabbrica del Bangladesh dove persero la vita 1136 persone, costrette a cucire vestiti per 12 ore e con uno stipendio inferiore ai 30€ al mese.
Cosa vuole ottenere la moda sostenibile? Mettere fine a queste stragi e delle buone condizioni di lavoro per i dipendenti; un ambiente sano e un salario al pari del loro lavoro. In poche parole, quella dignità che si acquista con il lavoro.
Altro aspetto fondamentale sono i diritti degli animali. La moda sostenibile deve essere Animal Free, cioè deve utilizzare delle fibre rinnovabili e non, naturali o realizzate dall’uomo a basso impatto ambientale, che non derivi da nessun tipo di sfruttamento animale.
Primo fra tutti, e quello più facile da intuire, è la sostituzione delle pellicce animali, seguito poi dalla sostituzione di altri materiali come le piume e la lana.

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IL RISPETTO PER L’AMBIENTE
La seconda macroarea è quella dedicata all’ambiente.
Come già accennato, l’industria della moda è la seconda più inquinante del mondo. Questo perchè il comparto produttivo segue ancora un modello di economia lineare e gli impatti sull’ambiente sono tanti.
Inquinamento atmosferico dovuto alle emissione prodotte, che contribuiscono al cambiamento climatico. Alto consumo di acqua; inquinamento chimico e da plastiche, micro e nano plastiche. Consumo elevato di energia; la sovra-produzione di rifiuti tessili.
Come risolvere questi problemi?
Il riciclo è uno dei punti chiave della moda sostenibile, andando così a ricollegarsi al fattore della dei rifiuti tessili. In questo modo si cerca di riutilizzare il più possibile e buttare via solo lo stretto necessario. In più si dovrebbe ottenere una normativa che vieti di destinare all’incenerimento o alla discarica, i capi di abbigliamento e gli accessori che rimangono invenduti.
Altro punto è quello di incentivare i rapporti tra le imprese della catena produttiva e i gestori degli impianti idrici. Incentivare inoltre lo studio e la ricerca di nuovi materiali, sempre più sostenibili per l’ambiente e riducendo il rilascio delle micro o nano plastiche. I governi in questo caso potrebbero dare incentivi economici alle imprese che convertono la loro produzione. E una tassazione favorevole per una produzione a basso impatto ambientale, che contengono fibre di cotone organico o PET riciclato.
Questi sono solo alcuni esempi delle possibile mosse o atti fatti dalle imprese della moda per cambiare rotta. Ma quello su cui bisogna incentivare ancora di più, è la campagna di informazione che spinga a modificare le scelte dei consumatori. Soprattutto dei giovani, attirati molto dalle catene fast fashion e dal concetto compra-indossa-butta.
Le industrie possono riconvertirsi come vogliono, possono investire su nuove ricerche e nuovi mezzi di produzione: ma se alla base non vi è un consumatore consapevole, tutti questi sacrifici saranno vani.